Il Pittore di Pisticci – “Conserva con peperoni e Olive e Piccantino alle Olive”. Mi come missione e mito. Racconto 3
La terza nota sul pentagramma dei sapori proposto da “Come Mamma Lo Ha Fatto” intona il MI che intreccia le parole missione e mito:
la missione – da un lato – richiama la ferma volontà del brand di dare voce alla tipicità pisticcese, non disperdendone il significativo patrimonio; il mito – dall’altro – racconta la storica radice culturale della città, interessante sito archeologico, e la controversa figura del Pittore di Pisticci, capostipite della produzione di vasi a figure rosse.
Mentre Mamma Enza saluta le sue conserve in cammino verso le tavole d’Italia o del mondo, i contadini del luogo cominciano ad esporre nei mercati rionali ortaggi e profumate essenze che mantengono vivo il valore della produzione locale. Il sole si leva deciso e tutta la città torna pian, piano al lavoro, mentre i turisti si cullano tra storie remote, calanchi disegnati dall’estroso genio della Natura e memorie archeologiche di grande importanza.
Paese di antiche origini, il cui toponimo potrebbe derivare o dalla parola greca Pistoicos, luogo fedele, o dal francese arcaico Pestiz, o dal basso latino Pesticius, terra di pascoli, la città lucana sa farsi amare per i suoi sapori e per i suoi reperti, rinvenuti nelle necropoli e nei dintorni dell’abitato. Molto importante è l’area archeologica dell’Incoronata, in località San Teodoro.
Scoperta nel 1970 da Adamesteanu, Sovrintendente Archeologico della Basilicata, fu interessata da numerosi scavi ad opera dell’Università di Milano. Successivamente, Adamesteanu invitò un gruppo di archeologi dell’Università di Austin (Texas), guidati da J.C.Carter, e negli anni ‘77 e ‘78 furono avviati nuovi scavi sullo sperone sud-orientale. Una squadra dell’Università di Rennes, guidata dal prof. M. Denti, riprese le indagini nel 2002, operative ancora oggi.
Posta sulla riva destra del Basento, l’Incoronata è caratterizzata dai resti di un villaggio enotrio (IX sec. a.C.) e di uno greco (VII sec. A.C), costruito sopra il precedente. Entrò nell’orbita di Siris ed ebbe un ruolo di rilievo come emporio. Ma sia il villaggio che l’emporio furono distrutti tra il 640 e il 630 a.C., a causa delle rivalità tra Metaponto e Siris. Dopo la distruzione, gli Achei fondarono una colonia a Metaponto come avamposto contro Taranto e, in seguito, crearono fattorie per controllare il territorio adiacente agli insediamenti enotri.
Oggi i resti della cittadina sono visitabili, mentre i reperti rinvenuti nei dintorni sono esposti al Museo Archeologico Nazionale di Metaponto. In tale museo è conservato il noto Perirrhanterion, monumentale bacino lustrale (VII sec. a.C.). Presumibilmente utilizzato per i riti purificatori con l’acqua, la sua produzione locale è documentata dal ritrovamento delle matrici usate per le decorazioni a rilievo. Le figure mitologiche sul vaso fanno riferimento ad esempi di arguzia, forza e audacia dall’evidente valore pedagogico per la formazione di un giovane di rango.
La città in provincia di Matera è anche famosa per le ceramiche con motivi geometrici e decorazioni a tenda che, assieme ai vasi imitanti quelli della costa magnogreca (VII sec. a.C). e ai vasi protoitalici a figure rosse (V sec. a.C.), riportano al Pittore di Pisticci, fondatore della più antica scuola di ceramica del Meridione, prima in Italia ad aver usato figure rosse su fondo nero nella pittura vascolare.
La “conserva con peperoni e olive” è legata alla storia controversa di questo personaggio che confonde gli studiosi: molti lo considerano un ateniese che raggiunse l’Italia meridionale insieme ad altri artigiani greci per fondare la colonia di Thurii nel 444 – 443 a.C.; altri, invece, lo definiscono artigiano del metapontino, formatosi ad Atene presso importanti botteghe.
L’enigma si dissolve con la ferma certezza di considerarlo capostipite della fabbrica lucana e, idealmente di tutte le fabbriche italiote: il ceramografo avviò una propria officina a Metaponto, frequentata anche dai pittori di Amykos, di Dolone, di Creusa e del Ciclope, intorno al 440-430 a.C. La fondazione di numerose officine diede linfa al commercio dei vasi figurati nell’Italia meridionale, rintracciati successivamente nei siti archeologici di lucani, pugliesi, campani e siciliani e nel versante orientale dell’Adriatico (Apollonia, in Albania). Per ammirare la copiosa produzione non c’è bisogno di recarsi nei blasonati British Museum, Musée du Louvre, Metropolitan, Hermitage, Museum of Fine Art, perchè presso il Museo Civico di Pisticci, una vera e propria perla, sono custoditi numerosi vasi del Pittore.
Ispirati ai modelli creati nelle ricercate botteghe ateniesi, di cui presentano i medesimi schemi iconografici, i vasi da lui prodotti si distinguono per l’uso dell’argilla locale, di colore nocciola-rosato, con una vernice meno lucente. Questa scelta di usare materie prime del posto conduce alla quarta nota Fa come fare sempre meglio.