Chiesa Madre “Conserva ai peperoni” Sol come solidità. – Conserva di Mamma Enza ai Peperoni e Piccantino Classico. Racconto 5
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La nota cinque sul pentagramma dei sapori proposti da “Come Mamma lo ha fatto” intona il Sol come solidità.
Mentre il pomeriggio volge ormai all’imbrunire, Mamma Enza si appresta a disporre sul piano della cucina tutti gli ortaggi ben selezionati che attenderanno, pazienti, di essere trasformati in conserve.
E’ solida la sua scelta di voler puntare esclusivamente su ingredienti genuini e locali, con l’intento di far fiorire sulle tavole dei commensali la radice di un territorio che ha molto da offrire e da raccontare.
La stessa solidità si ritrova nell’incredibile mole della Chiesa Madre di Pisticci, uscita indenne da ben due frane, tra cui quella di dimensioni catastrofiche che nel 1688 distrusse il Rione Casalnuovo. Pare che le sue fondamenta, radicate in profondità nel terreno, abbiano contribuito a fermare il fronte franoso, proteggendo l’abitato da un disastro ancora più grave. L’impressionante architettura dallo stile romanico si oppone da secoli all’inesorabile sgretolarsi della terra e del tempo.
Incastonata nella suggestiva cornice pisticcese, dal suo sagrato si può godere del meraviglioso panorama che spazia fino al mare Ionio. La “conserva ai peperoni” è associata alla storia di questo luogo sacro in cui si esprime, da sempre, la devozione locale.
Posto di fronte ai ruderi dell’antico castello medievale, il tempio, dedicato ai Santi Pietro e Paolo, fu costruito da Pietro e Antonio Laviola nel 1542 su un preesistente edificio religioso del XIII sec. di cui resta solo la torre campanaria. Pare che i due maestri muratori, di origine lombarda, si siano rifugiati, a metà del XVI secolo, in territorio pisticcese per sfuggire ad un mandato di cattura, poichè accusati di omicidio.
Con una copertura a doppio spiovente, la chiesa a croce latina si compone di tre navate: le laterali ospitano varie cappelle, gli altari in stile barocco, intagliati in legno e dorati, sono edificati sopra ipogei destinati, dalla seconda metà del 500, all’inumazione del clero e delle personalità importanti del paese.
Tante le tele o le statue di cartapesta di Salvatore Sacquegna, molti i quadri di stampo caravaggesco, attribuiti a Domenico Guarino del XVIII secolo, tra cui la “Madonna del Carmine”, la “Madonna del Pozzo” e i “Misteri del Rosario”.
All’incrocio tra la navata principale e il transetto, si erge la cupola emisferica, su cui si aprono otto grandi finestroni. Separano le navate sedici massicce colonne che sorreggono archi a tutto sesto su cui si adagiano le volte a botte. La navata centrale presenta un maestoso portale sovrastato da un rosone. L’altare maggiore barocco è circondato da un coro monastico, sovrastato da una balconata in legno che ospita le canne dell’organo. Dietro l’altare, tramite una porticina, si accede alla sacrestia: gli arredi e i rivestimenti settecenteschi adornano l’archivio della parrocchia. Alcuni oggetti di straordinario valore, come i lampadari in argento, sono misteriosamente scomparsi dopo il controverso restauro dei primi anni Novanta.
La grande forza che emana da questo luogo conduce alla nota sei La come lanciare la sfida.